Le origini La storia dei due filantropi e del più ambizioso progetto di restaurazione degli ecosistemi in Sud America affonda le sue radici alla fine degli anni ‘50, quando il 18enne americano Douglas R. Tompkins, insofferente alla scuola, abbandona il Connecticut per dedicarsi agli sport estremi, sciando e scalando rocce tra l’America e l’Europa. Una passione che lo porta a fondare, nel 1963, a soli 20 anni, un servizio di guide alpine, e un anno dopo quella che sarebbe diventata l’azienda di riferimento per gli amanti dell’outdoor: The North Face. Negli anni ‘80 il marchio planetario vanta già un fatturato di milioni di dollari, una sede in Europa e un successo mondiale, ma i traguardi raggiunti in ambito imprenditoriale non sono abbastanza per Tompkins, mosso da un animo avventuriero e dall’amore per la natura. Alla fine del decennio il businessman avverte l’esigenza di compiere scelte più incisive e radicali in favore dell’ambiente e di abbandonare il mondo degli affari. Decide così di vendere le quote delle aziende che possiede (tra cui anche il marchio Esprit, fondato insieme alla prima moglie) e di approfittare della fortuna accumulata per portare avanti una missione più urgente: combattere l’inesorabile avanzamento del riscaldamento globale. «Capì che distruggere la natura significava distruggere noi stessi», racconta Yvon Chouinard, tra i migliori amici del filantropo e patron del brand Patagonia, nel documentario del National Geographic “Wild Life”, che racconta la parabola dei Tompkins e della rete che ha realizzato il loro sogno. Di questa fa parte anche il Ceo di Patagonia, che l’anno scorso ha donato l’azienda a un trust e ad un’organizzazione no profit ambientalista. Una scelta arrivata dopo anni di impegno per il clima e di lavoro al fianco dell’amico di avventure e di sua moglie.

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